Argo e il suo padrone, scritto da Italo Svevo negli ultimi anni della sua vita e pubblicato postumo, è un racconto breve ma insolito, in cui l'autore sperimenta un punto di vista narrativo originale: quello di un cane. Argo, il protagonista, osserva il mondo umano - in particolare il suo padrone - con uno sguardo apparentemente semplice, ma capace di rivelare incoerenze, automatismi e fragilità che gli uomini non riescono a riconoscere in se stessi.
Attraverso i pensieri di Argo, Svevo mette in scena un rapporto ambiguo e ironico tra animale e uomo. Il cane si sforza di comprendere il comportamento del padrone, che gli appare spesso contraddittorio, instabile e dominato da abitudini incomprensibili. Mentre Argo si percepisce come fedele, coerente e guidato da regole chiare, l'uomo emerge come una creatura confusa, prigioniera di desideri mutevoli e di una razionalità fragile.
Il racconto gioca sul rovesciamento dei ruoli: è l'animale a giudicare il padrone, e non il contrario. Questo espediente permette a Svevo di riflettere, con discreta ironia, sulla presunzione umana di essere superiore e razionale. La semplicità del linguaggio di Argo contrasta con la complessità inutile che egli percepisce negli uomini, suggerendo che la cosiddetta "civiltà" non coincide necessariamente con la chiarezza morale.
Italo Svevo (1861-1928), pseudonimo di Aron Ettore Schmitz, è uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano. Conosciuto soprattutto per La coscienza di Zeno, ha esplorato nei suoi racconti e romanzi la crisi dell'individuo moderno, utilizzando ironia, introspezione e sperimentazione narrativa. In Argo e il suo padrone, Svevo conferma la sua capacità di osservare l'uomo da prospettive laterali, mettendo in discussione la centralità e la sicurezza della coscienza umana